Dopo gli studi classici negli anni ’60 mi sono iscritto alla facoltà di architettura ma ho anche voluto mettere in pratica quello che studiavo nella teoria e, a soli vent’anni, ho aperto un piccolo atelier vicino al Pantheon nel cuore di Roma.
Il mio approccio con il lavoro è stato spontaneo, senza alcuna competenza e quindi libero da canoni e vincoli sia tecnici che stilistici. Le esperienze di lavoro quotidiane, gli orizzonti culturali, ambientali, sociali, architettonici hanno contribuito alla formazione di un mio stile particolare che teneva conto, all’inizio in modo inconscio poi profondamente consapevole, di quello che amo definire “genius loci”.
Con il passare degli anni in me si è resa sempre più profonda la convinzione che arte, cultura e storia siano gli strumenti più preziosi nel lavoro, e che le radici di quel che siamo stati e che siamo ci permettano di proiettarci nel futuro. Questa mostra è una tappa fondamentale nella storia della nostra attività, un traguardo sul cui significato vale la pena soffermarsi, e rivivere il percorso di oltre mezzo secolo di lavoro: Dante.
Rapportarsi all’opera di questo gigante della storia umana è stata impresa non facile per la tipo-ogia del nostro lavoro, ma abbiamo deciso di puntare su quelle che sono le nostre caratteristiche fondamentali: l’emozione dei colori, il simbolismo degli oggetti e la storia in quanto radice del presente e del futuro. E così, attraverso oggetti d’arte e preziosità, abbiamo tracciato una sorta di viaggio riassuntivo della Commedia sottolineando con il nostro stile la figura di Dante quale precursore del Rinascimento e del pensiero moderno. Poesia, storia, filosofia, arte, scienza, matematica, politica, ma su tutto, umanità, caratterizzano la Commedia, ponendo Dante al di sopra del tempo e rendendo il suo messaggio universale.
E con questo nostro lavoro vogliamo ringraziarlo per essere esistito e per esistere.
Architetto, professore universitario e storico dell’architettura è il titolare dello Studio Perugini fondato nel
1945 a Roma da Giuseppe Perugini e Uga de Plaisant
In questa mostra l’opera di Diego Percossi Papi si presenta come una applicazione dell’“Arte della Memoria”. Troviamo infatti un percorso suddiviso in tre parti riferite ai diversi “luoghi” danteschi, durante il quale il visitatore incontra figure e gioielli ad alto valore simbolico, alcuni dei quali “indossati” da statue a grandezza d’uomo strettamente connesse ad alcuni Canti dell’opera dantesca e tali, per le loro caratteristiche, da colpire visivamente. Non a caso sono tre figure emblematiche ad aprire la strada. La prima è Caronte che, come nella
Commedia, introduce alla mostra e alla sala dedicata all’Inferno mentre le Erinni e il Minotauro fanno da “guardiani” all’accesso alla seconda sala dedicata al Purgatorio. Qui invece l’unica figura dominante è quella di Beatrice che invita i visitatori alla terza sala dedicata al Paradiso. Fanno da contorno a questa sorta di totem tematici dei pannelli illustrativi che spiegano il legame simbolico tra le creazioni dell’atelier
Percossi Papi conservate nelle vetrine che punteggiano il percorso e le diverse parti del testo della Divina Commedia a cui sono dedicate. Ed è significativo il fatto che gli stessi gioielli siano stati concepiti in modo da interpretare alla loro maniera il testo dantesco. Perfetti esempi in questo senso sono il bracciale delle “Anime dannate” indossato da Caronte con le sue pietre, tutte diverse ma strettamente legate le une alle altre, o i serpenti della “Invidia” nell’area del Purgatorio.
Né mancano i riferimenti celesti nei gioielli del Paradiso con la presenza della luna e delle stelle ma anche con la partecipazione simbolica di Arrigo VII di Lussemburgo, chiamato a restituire all’Italia il “buon governo”, rappresentato al centro della sala dalla corona e dall’aquila bicefala.
A conclusione di questo cammino è la figura di Maria Vergine in trono, così come compare nella Maestà conservata a Siena nel Palazzo Pubblico, a chiudere simbolicamente il percorso.
Ma se è vero che l’idea di “percorso” è un tratto comune al concetto stesso di mostra in questo caso le creazioni preziose, esposte nelle vetrine oppure integrate con i personaggi della Divina Commedia, sono concepite in modo da calare per fasi successive il visitatore, anche con la collaborazione delle spiegazioni contenute nei pannelli che completano l’allestimento, in un mondo come quello dantesco dove storia, conoscenza e simbolo vengono a completarsi tra di loro. E lungo questo itinerario allegorico i gioielli di Diego Percossi Papi, con la loro forza espressiva, svolgono il ruolo delle imagines agentes della tradizione mnemonica creando così l’atmosfera di quella che potremmo chiamare la Memoria di Dante.
Nel mezzo del cammin di nostra vita
mi ritrovai per una selva oscura,
chè la diritta via era smarrita.”
(Inferno, Canto I, I-3)
Caronte il traghettatore,
le tre Erinni e il mostruoso Minotauro rappresentano in modo inquietante l’ingresso e il passaggio di Dante nell’Inferno.
Le installazioni a grandezza naturale poste su un piedistallo vogliono incutere nel visitatore lo stesso timore che provò e descrisse il Sommo Poeta incontrandoli.
“E quindi uscimmo a riveder le stelle” (Inferno, XXXIV, v. 139)
INFERNO – Canto III, 94-96 “Caron, non ti crucciare: vuolsi così colà dove si puote ciò che si vuole, e più non dimandare.”
“Caron dimonio, con occhi di bragia” Lo spaventoso traghettatore accoglie il visitatore come accolse Dante sulla porta dell’Inferno. Le braccia, con cui agita il remo e batte le anime che trasporta da una riva all’altra del fiume Acheronte, sono ora coperte di gioielli ma non meno terribili.
INFERNO – Canto IX, 38-42 “Tre furïe infernal di sangue tinte, che membra feminine avieno e atto, e con idre verdissime eran cinte; serpentelli e ceraste avien per crine, onde le fiere tempie erano avvinte.”
Nell’iconografia le Erinni (Aletto, Megera e Tesifone) vengono rappresentate come geni alati, tre donne con crini di serpenti, le bocche spalancate in urla tremende. I gioielli che indossano sono animali fantastici e terribili come loro. Dalle mura della città infernale di Dite invocano Medusa per pietrificare il visitatore vivente “perché ora i vivi non son più scoraggiati ad avventurarsi nel regno dei morti“.
INFERNO – Canto XII, 11-15 “E ‘n su la punta de la rotta lacca l’infamïa di Creti era distesa che fu concetta ne la falsa vacca; e quando vide noi,
sé stesso morse, sì come quei cui l’ira dentro fiacca.”
Il Minotauro è un essere mostruoso e di bestiale ferocia, il corpo di un uomo e la testa di un toro. Relegato nel labirinto creato da Dedalo, si nutre dei fanciulli condotti in sacrificio. È il simbolo dei violenti contro il prossimo, assassini che all’Inferno sono gettati nel Flegetonte, il fiume di sangue bollente
Il Minotauro è un essere mostruoso e di bestiale ferocia, il corpo di un uomo e la testa di un toro. Relegato nel labirinto creato da Dedalo, si nutre dei fanciulli condotti in sacrificio. È il simbolo dei violenti contro il prossimo, assassini che all’Inferno sono gettati nel Flegetonte, il fiume di sangue bollente
“ Puro e disposto a salire alle stelle”
(Purgatorio, XXXIII, v. 144)
PURGATORIO – Canto XVI, 16-18, 22-24
“Io sentia voci, e ciascuna pareva pregar per pace e per misericordia l’Agnel di Dio che le peccata leva.
…
“Quei sono spirti, maestro, ch’i’ odo?” diss’ io. Ed elli a me: “Tu vero apprendi, e d’iracundia van solvendo il nodo.”
Per il contrappasso dantesco, gli iracondi che in vita dilaniarono gli altri ora si percuotono e si mordono ferocemente,
avvolti da un fumo oscuro e denso come l’ira che ottenebrò in vita la loro mente.
L’arte può impreziosire con gemme e decori le spade,
i pugnali e persino le pietre: ma l’uomo in armi non sa controllare la sua furia.
Spada con elsa in cristallo di rocca, grande zaffiro, smeraldi, granati, piccole perle naturali su lama di ebano.
PURGATORIO – Canto XIII, 109-111
“Savia non fui, avvegna che Sapìa fossi chiamata, e fui de li altrui danni più lieta assai che di ventura mia.”
L’invidia porta a godere più per il male altrui che per le proprie fortune. Per Giotto, contem- poraneo di Dante, la lingua dell’invidioso è una vipera che si contorce e che acceca con il suo veleno lo stesso peccatore (Cappella degli Scrovegni, Padova).
Serpenti con rubini, ametiste smeraldi, peridoti, granati, citrini e microperle.
PURGATORIO – Canto XX, 10-12
“Maladetta sie tu, antica lupa, che più che tutte l’altre bestie hai preda per la tua fame sanza fine cupa!”
Gli avari ed i prodighi sono sottoposti alla stessa pena, in quanto il loro vizio ha il medesimo movente nell’immoderata brama di ricchezze. Gli uni accumulano per il piacere del possesso e gli altri dilapidano i loro beni irragionevolmente.
Lo scrigno dell’avaro è fortemente serrato, soltanto lui ne conosce il contenuto. I preziosi tesori del prodigo sono al contrario sparsi e ormai perduti.
Una preziosa coppa in agata finemente intagliata, con cristallo di rocca, pietre preziose, miniature e oro trabocca dei tesori del prodigo.
PARADISO – Canto XXI, 1-2
“Già eran li occhi miei rifissi al volto de la mia donna, e l’animo con essi”
Virgilio ha guidato Dante nell’Inferno e nel Purgatorio per- sonificando la ragione. Ma in Paradiso è necessario andare oltre.
Beatrice personifica la virtù teologale della Fede, la capacità di percepire il mistero divino attraverso l’emozione e l’intuizione.
Il giglio è simbolo di eleganza e di purezza, ma è anche il simbolo della città di Firenze fin dal secolo XI. Il fiore più adatto per rappresentare Beatrice.
Nel Regno del Paradiso la luce è ovunque, le anime beate nella Candida Rosa con gli Angeli e gli Arcangeli godono dell’infinita presenza di Dio. I Cieli si muovono, brillano, risuonano soavemente come gioielli sospesi nell’aria. Beatrice, donna angelicata nel “dolce stil novo” dantesco, è ora guida spirituale e maestra.
Un prestigio che sottolinea la modernità di Dante nella considerazione delle donne.
Ed è soltanto per l’intercessione di Maria che il sommo Poeta potrà finalmente fissare lo sguardo nella mente di Dio.
PARADISO – Canto XXI, 1-2
“Già eran li occhi miei rifissi al volto de la mia donna, e l’animo con essi”
ARADISO, Canto II, 29-33
“Drizza la mente in Dio grata,” mi disse, che n’ha congiunti con la prima stella.”
Parev’ a me che nube ne coprisse lucida, spessa, solida e pulita, quasi adamante che lo sol ferisse.”
È il Cielo del Paradiso più vicino alla Terra, corrispondente alla Luna e governato dagli Angeli.
Le anime sono immagini riflesse e il Poeta descrive il Cielo come una nube simile a un diamante colpito dal sole.
Nella loro teca, colpite dalla luce, splendono lune e stelle, tema ricorrente nell’atelier Percossi Papi come le stelle sono un tema ricorrente per Dante.
PARADISO – Canto V, 103-105
“Sì vid’ io ben più di mille splendori trarsi ver’ noi, e in ciascun s’udia: “Ecco chi crescerà li nostri amori.”
Il Cielo di Mercurio è governato dagli Arcangeli, ispiratori delle nobili imprese terrene. Dante qui incontra gli spiriti operanti per la gloria sulla terra,
tra cui Giustiniano, imperatore di Bisanzio. Gli Arcangeli e gli angeli possiedono le ali che l’uomo ha sempre desiderato.
Sono il simbolo della levità dell’anima ma rappresentano anche il volo della fantasia, essenza del lavoro del nostro Atelier
Arcangeli in stile bizantino, forza guerriera e infinita dolcezza.
PARADISO, Canto XXX, 133-138
“E ‘n quel gran seggio a che tu li occhi tieni per la corona che già v’è sù posta, prima che tu a queste nozze ceni,
sederà l’alma, che fia giù agosta, de l’alto Arrigo, ch’a drizzare Italia verrà in prima ch’ella sia disposta.”
Nella Candida Rosa dei Beati siedono le anime di pura luce del Paradiso. Beatrice mostra a Dante un seggio vuoto su cui è posta una corona.
Esso è già destinato all’alto Arrigo che scenderà in Italia per ristabilirne il buon governo quando il paese non sarà però ancora pronto a riceverlo.
Aquila bicipite L’Imperatore Arrigo VII di Lussemburgo ambiva ad unificare l’Italia sotto l’egida del Sacro Romano Impero.
PARADISO, Canto XXX, 133-138
“Vidi a lor giochi quivi e a lor canti ridere una bellezza, che letizia era ne li occhi a tutti li altri santi”
Il seggio di Maria, circondata da un tripudio di angeli, supera in luminosità tutti gli altri nella Candida Rosa. La Vergine della Maestà di Simone Martini, contemporaneo di Dante, veglia su Siena dal Palazzo Pubblico, sede del Buon Governo dell’epoca.
L’omaggio alla Maestà è stato realizzato dall’atelier Percossi Papi nella migliore tradizione della bottega d’arte con ottocento ore di lavoro e tecniche diverse. La miniatura ad olio su rame è impreziosita da una cornice in tecnica di smalto cloisonné su argento e rame dorato con un diamante, zaffiri, ametiste, granati, topazi arancio e azzurri, tormaline, cristallo di rocca, marmo e una stella in lapislazzuli.
Ideazione mostra e gioielli del M° Diego Percossi Papi; installazioni artistiche, realizzazione gioielli e allestimento vetrine di
Giuliano Percossi Papi; allestimento scenografico, fotografia e coordinamento dell’immagine e della organizzazione di Valeria
Percossi Papi; testi e approfondimenti di Maria Teresa Percossi Papi; curatela e supervisione organizzativa di Irina Dilkova.