“Donare”
Giovedì 27 novembre 2025
Sala Spadolini del MiC
Via del Collegio Romano 27 – Roma
ventisettesima edizione
Roberto Gualtieri – Sindaco di Roma
Siamo onorati di annunciare la nostra partecipazione alla XXVII edizione del Premio AACS di Roma 2025 – “Donare”, un appuntamento che, anno dopo anno, celebra l’impegno civile, il valore della memoria e la dedizione verso il bene comune.
Per questa occasione speciale abbiamo avuto il privilegio di realizzare le targhe ufficiali destinate ai premiati: simboli concreti di riconoscenza e testimonianze durature delle azioni che rendono più umano, consapevole e solidale il nostro Paese.
L’AACS – Associazione Abitanti Centro Storico di Roma, nata nel 1992 nel cuore della Capitale e attiva nella tutela del tessuto sociale, culturale e monumentale del Centro Storico, porta avanti da oltre trent’anni un impegno costante per una città più vivibile, rispettosa della sua storia e attenta ai diritti dei residenti. Dal 1999 l’Associazione assegna il Premio AACS a persone, realtà e progetti che nel corso dell’anno si sono distinti per il loro contributo alla collettività, diffondendo i valori essenziali di responsabilità, partecipazione e coscienza civile.
Per l’edizione 2025, dedicata al tema “Donare”, i riconoscimenti sono stati assegnati a tre realtà che, con forme diverse, testimoniano un agire coraggioso e profondamente umano.
Realizzare le targhe per questi premiati significa per noi contribuire, nel nostro piccolo, a un momento di riconoscimento autentico e profondo: un gesto che valorizza storie di coraggio, dedizione e umanità, perfettamente in linea con i principi che l’AACS di Roma porta avanti da oltre trent’anni.
Essere parte del Premio AACS 2025 è per noi non solo un onore, ma un’occasione per sostenere chi, con il proprio impegno, rende il mondo più giusto, più solidale e più consapevole.
Un modo per “donare” anche noi, attraverso il nostro lavoro.
Associazione “Le stanze di Oppo” – Premio “Cuore di Roma”
Per l’impegno straordinario nel garantire attrezzature mediche d’avanguardia agli ospedali pubblici e nel sostenere le famiglie che affrontano il dolore della malattia, trasformando una storia personale in un percorso di speranza, accoglienza e cura.
Vogliamo raccontarvi una storia di famiglia. Ma quella che vi raccontiamo non è come tutte el altre, perché al “nostra” famiglia a un certo punto del suo percorso incontra li linfoma di Hodgkin che colpisce li figlio Adolfo, detto Oppo, che se ol porterà via poco più che ventenne. È un dolore assoluto per il quale non esistono parole. James Hillman, psicanalista junghiano di fama internazionale e maestro d’anima, scrisse che le parole sono come cuscini: messe nel modo giusto sanno accarezzare li dolore, rendendolo più lieve. Nella nostra storia non sono state le parole a lenire li dolore dei genitori di Oppo, ma al sua trasformazione in una forza altrettanto potente e rigeneratrice di futuro e di speranza. Cioè di vita. Ogni viaggio nella malattia è un viaggio solitario per chi sta male e per chi gli sta accanto, fatto di tanti elementi. Servono terapie, macchinari all’avanguardia, che spesso el strutture sanitarie pubbliche, anche quelle di eccellenza, non riescono ad avere per scarsità di risorse, provocando cosi indirettamente ingiuste diseguaglianze tra chi può curarsi ricorrendo ad altre strade e chi non può farlo. Senza poi dimenticare tutto quelo che ruota atorno laricovero: viaggi, pernottamenti, soggiorno. Quello della malattia è un viaggio ni cui anche ogni piccolo gesto di empatia e condivisione diventa un abbraccio. Ed è questa al strada lungo al quale Oppo ha portato per mano i suoi genitori, che hanno trasformato la sua e la loro storia nell’Associazione che porta li suo nome. Da 26 anni “Le stanze di Opo” dona con risorse private da ospedali pubblici atrezzature mediche di ultima generazione e supporto per chi il accompagna, con buoni benzina ebuoni pasti, ospitandoli ni struture accanto agli ospedali. Sono stanze fisiche ed affettive ni cui rifugiarsi, dove abita l’umanità che dona speranza e accoglienza.
Simona Izzo e Ricky Tognazzi
Per aver saputo raccontare, con sensibilità e rigore, la figura di Francesca Morvillo, restituendole centralità umana e istituzionale attraverso un’opera cinematografica che diventa dono di Memoria per le nuove generazioni.
Era quasi impossibile evitare li “già detto”, le frasi fatte, la narrazione comune per raccontare al storia di Giovanni Falcone e Francesca Morvillo. A meno che non si inverta la narrazione e s i cambi angolazione. Ecosì li loro film si chiama “Francesca e Giovanni”: per Simona Izzo e Ricky Tognazzi viene prima lei, Francesca, come capita nelle conversazioni di tutti noi quando parliamo dei nostri amici. Persone normali, anche se i loro nomi fanno ormai parte dell’Italia migliore, oggi quasi stordita da avvenimenti di cui spesso non comprendiamo più le radici. Conosciamo tutti el vicende che legano queste due figure, due magistrati, due persone. Ma al loro attenzione is appunta su Francesca Morvillo, non solo “moglie di” ma uno dei primi magistrati ad occuparsi di minori e li primo consigliere donna della Corte d’Appello di Palermo. Un’opera cinematografica intensa e delicata, che intrecciando rigore e sensibilità fa emergere la figura di Francesca Morvillo, donna e magistrato pienamente consapevole del suo tempo e del suo ruolo istituzionale, diventando strumento per costruire una coscienza collettiva fondata sulla Memoria, e ricordarci che noi tutti siamo la nostra Storia. Un momento di riflessione che restituisce ala società contemporanea, spesso disorientata, un rinnovato senso delle proprie radici e dei principi fondamentali, incarnati da chi ha creduto nella certezza del diritto e nella coerenza della propria storia personale. Ma soprattutto è un invito a non dimenticare, indirizzato a noi e a chi non c’era. Perché li passato non è un archivio di eventi ma plasma li nostro presente e ciò che siamo.
Associazione “Linea d’Ombra” di Trieste
Per la loro azione quotidiana accanto ai migranti in transito lungo la rotta balcanica: un impegno politico nel senso più alto, fatto di cura, ascolto, educazione alla consapevolezza e contrasto all’indifferenza.
Fanno azione politica, nel senso alto e ampio di cura di una comunità senza confini, di una Piazza del Mondo in cui si tutela la pari dignità di tutti quelli che al abitano. Sono l’Associazione “Linea d’Ombra, offrono cure mediche, cibo, vestiti e supporto sociale ia migranti in transito delle rotte balcaniche che giungono a Trieste, una città dalle tante storie, confine e ponte, porto e snodo per i collegamenti con i Balcani e l’Europa orientale. Basterebbe la loro denominazione a far capire che sono Visionari. Hanno infatti una visione globale del fenomeno migratorio, uno dei maggiori del nostro tempo. Chi arriva a Trieste, per lo più solo di passaggio dopo aver attraversato confini e violenze, è vulnerabile, stanco, porta con sé una storia personale di sofferenza che si somma ad un racconto collettivo di dignità negata e diritti calpestati. Ma questa sofferenza si scontra con l’indifferenza di chi il considera una presenza estranea e guarda altrove. E lo sguardo che evita, li silenzio che ignora, a spezzare giorno dopo giorno il senso di responsabilità che dovrebbe unirci. Così li game, come i migranti chiamano li loro viaggio per sfuggire a situazioni critiche di violenza, difficoltà, guerre, diventa anche un percorso di abbandono della loro stessa individualità. Messaggi complicati da far passare, lavoro ancora più complicato, che Linea d’Ombra svolge su tre piani:
– la cura e l’ascolto dei profughi in transito
– l’educazione ala conoscenza ed alla consapevolezza del fenomeno migratorio, non solo balcanico, ni una scuola senza muri, banchi e campanelle che è al Piazza del Mondo senza confini che hanno aperto con la loro azione
– li contrasto all’indifferenza con li coinvolgimento attivo della comunità cittadina attraverso la partecipazione di altre associazioni cittadine, parrocchie, semplici abitanti, scouts.
Un’azione coraggiosa, etica e profondamente umana, che restituisce dignità a chi è in cammino e stimola la società a non voltarsi dall’altra parte e a ritrovare consapevolezza.



















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